- "Arriva John Doe", F. Capra: non conoscevo l'autore, che è uno dei grandi del cinema. Film del 41, racconta di un uomo qualunque che grazie al potere della stampa diventa un idolo per gran parte dell'America. E' animato da buonissimi propositi, ma non sa di essere manovrato dai poteri forti, che vogliono ingraziarsi un elettorato fatto di migliaia di lattai, maestri, barbieri, casalinghe, persone comuni, insomma. Bel film, che fa riflettere sul ruolo della propaganda e della pubblicità. Peccato per il finale un po' buonista, come peraltro i film del tempo. Se avessero tagliato gli ultimi 10 minuti sarebbe stato bellissimo e cinico come pochi. Famoso il discorso con cui l'americano medio arringa e fa sognare la folla di americani medi (in America, per indicare i vicini e le persone comuni, si usa "the Johns").
- "Le vie della violenza", C. McQuarrie: era da un po' che aspettavo di vederlo, ma mi ha veramente deluso. Meno male che c'è Benicio del Toro. Comunque il risultato è scadente, una pretenziosa brutta copia di gangster movie molto meglio riusciti.
- "Paz", R. De Maria: è sempre divertente, soprattutto Fiabeschi. Incredibile la somiglianza dei personaggi con quelli dei fumetti e bellissime le ricostruzioni dei manifesti e degli slogan studenteschi degli anni '70. Unica pecca: nei contenuti extra il regista fa troppo il figo.
- "L'incubo di Darwin", H. Sauper: un bel documentario che racconta le conseguenze dell'introduzione del pesce persico nel lago Vittoria. In poco tempo questo predatore (lungo anche un paio di metri) ha sconvolto non solo l'ecosistema ma anche l'economia del posto, creando indubbiamente ricchezza, ma anche corruzione, prostituzione e una serie di commerci misteriosi. Cosa contengono i carghi russi che atterrano per rifornire l'Europa di pesce? Sono vuoti o come dice qualcuno, pieni di armamenti clandestini?
- "Akira", K. Otomo: non mi è piaciuto. La trama era poco chiara, con un brutto finale (che addirittura non ricordo) e abbastanza lungo. Magari dovrei rivederlo, o leggere il fumetto da cui è tratto, perchè in rete tutti ne parlano un gran bene...
- "Il nemico alle porte", J.J. Annaud: molto bello. L'ambientazione e la fotografia rendono alla grande il temibile clima russo e il film affronta tanti temi: il ruolo della propaganda, il duello, Kruscev, l'amicizia, gli orrori della guerra (tra cui spicca la scena in cui chi disertava o si ritirava veniva giustiziato dai suoi stessi compagni o superiori).
30 giu 2006
25 giu 2006
World Press Photo 2006
Anche quest'anno sono riuscito a vedere la mostra di World Press Photo. Ci sono delle immagini che fanno riflettere ed alcune che sono arte. Sul sito http://www.worldpressphoto.nl/ trovate tutte le immagini vincitrici e una breve presentazione.
Sopra un collage di quelle che mi hanno più impressionato. Dall'alto in basso e da sinistra a destra: (1) una mamma con la bambina in un campo profughi in Niger (è la foto vincitrice); (2) il confine tra Corea del Sud (strada di sabbia) e del Nord (strada asfaltata); (3) uno dei 77.000 ciechi liberiani; (4) il ritorno di un caduto in Iraq.
(1) un guerrigliero delle gang giovanili di Guatemala City (dette maras), formate dai figli dei contadini indigeni, emigrati dalle campagne alla capitale nel corso della guerra civile degli anni '80; (2) uno stregone nigeriano, che si muove per i villaggi vendendo pozioni e spettacoli con un seguito di 2 pitoni, 4 scimmie e una iena.
Sopra un collage di quelle che mi hanno più impressionato. Dall'alto in basso e da sinistra a destra: (1) una mamma con la bambina in un campo profughi in Niger (è la foto vincitrice); (2) il confine tra Corea del Sud (strada di sabbia) e del Nord (strada asfaltata); (3) uno dei 77.000 ciechi liberiani; (4) il ritorno di un caduto in Iraq.
(1) un guerrigliero delle gang giovanili di Guatemala City (dette maras), formate dai figli dei contadini indigeni, emigrati dalle campagne alla capitale nel corso della guerra civile degli anni '80; (2) uno stregone nigeriano, che si muove per i villaggi vendendo pozioni e spettacoli con un seguito di 2 pitoni, 4 scimmie e una iena.
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Arte
17 giu 2006
Camogli & Genova
Che posto magico è Camogli. Una cittadina bellissima ma senza turisti, sul mare ma con alle spalle ripidi monti, semplice ma affascinante.
Il paese si sviluppa in verticale. Tutte le case hanno 7-8 piani e sono una addossata all'altra, abbarbicate sulle colline che le circondano. Sembra un paese fatto di Lego, con le viette laterali strettissime, ripidissime e piene di scale. I colori poi sono una gioia per gli occhi: si susseguono innumerevoli tonalità di gialli, rossi ed arancioni che rendono unici i vari edifici.
Certo, manca la movida, ma è probabilmente quello che la rende così preziosa. E' il posto più rilassante in cui sia stato, a parte Essauera in Marocco, che comunque le assomiglia in modo impressionante, dipinta forse dagli stessi pastelli.
Sono stato anche a Genova una mezza giornata e qui l'impressione è stata totalmente diversa. Se Venezia è decadente, direi che Genova è decaduta. Nonostante abbiano ridipinto tutti i palazzi Seicenteschi, riempiendoli di musei e rinnovando la zona del porto, il resto della città sembra cadaverico. Cagate di cane ovunque, vie scalcinate e sempre all'ombra, con vista sui tossici in piena attività, strade bagnate e piene di manifesti strappati, prostitute nei labirintici carrugi e spesso un senso di miseria. Eppure c'è un certo fascino. Forse bisognerebbe starci un po' più di tempo, capire la geografia del posto e muoversi senza zaino, confondendosi con gli abitanti, che non a caso l'amano alla follia.
P.S.: magari domani metto le foto sull'altro sito (se sono venute bene), comunque, guardate questo link, se volete avere un assaggio: http://www.flickr.com/search/?q=camogli
Il paese si sviluppa in verticale. Tutte le case hanno 7-8 piani e sono una addossata all'altra, abbarbicate sulle colline che le circondano. Sembra un paese fatto di Lego, con le viette laterali strettissime, ripidissime e piene di scale. I colori poi sono una gioia per gli occhi: si susseguono innumerevoli tonalità di gialli, rossi ed arancioni che rendono unici i vari edifici.
Certo, manca la movida, ma è probabilmente quello che la rende così preziosa. E' il posto più rilassante in cui sia stato, a parte Essauera in Marocco, che comunque le assomiglia in modo impressionante, dipinta forse dagli stessi pastelli.
Sono stato anche a Genova una mezza giornata e qui l'impressione è stata totalmente diversa. Se Venezia è decadente, direi che Genova è decaduta. Nonostante abbiano ridipinto tutti i palazzi Seicenteschi, riempiendoli di musei e rinnovando la zona del porto, il resto della città sembra cadaverico. Cagate di cane ovunque, vie scalcinate e sempre all'ombra, con vista sui tossici in piena attività, strade bagnate e piene di manifesti strappati, prostitute nei labirintici carrugi e spesso un senso di miseria. Eppure c'è un certo fascino. Forse bisognerebbe starci un po' più di tempo, capire la geografia del posto e muoversi senza zaino, confondendosi con gli abitanti, che non a caso l'amano alla follia.
P.S.: magari domani metto le foto sull'altro sito (se sono venute bene), comunque, guardate questo link, se volete avere un assaggio: http://www.flickr.com/search/?q=camogli
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Viaggi
12 giu 2006
Barcellona
Stò leggendo Omaggio alla Catalogna di Orwell. E' un reportage della sua partecipazione alla guerra di Spagna nel '36-'37 ed è uno dei libri più scorrevoli che ho letto. Ecco un passaggio che mi è piaciuto particolarmente e che rende in maniera vividissima l'atmosfera della città:
[...] l'aspetto di Barcellona era qualcosa che sconvolgeva e sopraffaceva. Era la prima volta che mi trovavo in una città dove la classe operaia era al potere. Praticamente ogni edificio di qualsiasi dimensione era stato occupato dai lavoratori e drappeggiato con bandiere rosse o con le bandiere rosse e nere degli anarchici; su ogni muro erano stati scribacchiati la falce e il martello con le iniziali dei partiti rivoluzionari; quasi ogni chiesa saccheggiata e le immagini sacre riarse. Qua e là le chiese venivano sistematicamente demolite da squadre di operai. Botteghe e caffè esibivano scritte che ne annunciavano la collettivizzazione; perfino i lustrascarpe erano stati collettivizzati e le loro cassette dipinte in rosso e nero. Camerieri e inservienti di negozio vi guardavano in faccia e vi trattavano alla pari. Forme servili o anche soltanto cerimoniose del parlare erano temporaneamente scomparse. Nessuno diceva Senor o Don o nemmeno Usted; ognuno chiamava gli altri compagno usando il tu e diceva Salud! Invece di Buenos dias. Qualsiasi mancia era proibita dalla legge […]. Non c’erano automobili private, erano state tutte requisite dall’autorità militare, e tutti i tram e tassì e gran parte degli altri mezzi di trasporto erano verniciati di rosso e nero. I cartelloni rivoluzionari, ovunque, fiammeggiavano sui muri in nitidi rossi e blu che facevano sembrare gli altri manifesti, pochi e superstiti, semplici chiazze di fango. Per la Ramblas, l’ampia arteria centrale di Barcellona dove fiumane di folla andavano e venivano senza posa, gli altoparlanti tuonavano rimbombanti canzoni rivoluzionarie per tutto il giorno e gran parte della notte […] si sentiva diffusa nell’aria una gran fiducia nella rivoluzione e nel futuro, l’impressione d’essere improvvisamente emersi in un’era di uguaglianza e di libertà. Gli esseri umani cercavano di condursi come essere umani e non come denti di una ruota nella macchina capitalistica. Nelle bandiere si vedevano dei cartelli anarchici (i barbieri erano quasi tutti anarchici) i quali spiegavano solennemente che i barbieri non erano più degli schiavi. Per le vie manifesti colorati s’appellavano alle prostitute affinché cessassero di fare le prostitute. [...]
[...] l'aspetto di Barcellona era qualcosa che sconvolgeva e sopraffaceva. Era la prima volta che mi trovavo in una città dove la classe operaia era al potere. Praticamente ogni edificio di qualsiasi dimensione era stato occupato dai lavoratori e drappeggiato con bandiere rosse o con le bandiere rosse e nere degli anarchici; su ogni muro erano stati scribacchiati la falce e il martello con le iniziali dei partiti rivoluzionari; quasi ogni chiesa saccheggiata e le immagini sacre riarse. Qua e là le chiese venivano sistematicamente demolite da squadre di operai. Botteghe e caffè esibivano scritte che ne annunciavano la collettivizzazione; perfino i lustrascarpe erano stati collettivizzati e le loro cassette dipinte in rosso e nero. Camerieri e inservienti di negozio vi guardavano in faccia e vi trattavano alla pari. Forme servili o anche soltanto cerimoniose del parlare erano temporaneamente scomparse. Nessuno diceva Senor o Don o nemmeno Usted; ognuno chiamava gli altri compagno usando il tu e diceva Salud! Invece di Buenos dias. Qualsiasi mancia era proibita dalla legge […]. Non c’erano automobili private, erano state tutte requisite dall’autorità militare, e tutti i tram e tassì e gran parte degli altri mezzi di trasporto erano verniciati di rosso e nero. I cartelloni rivoluzionari, ovunque, fiammeggiavano sui muri in nitidi rossi e blu che facevano sembrare gli altri manifesti, pochi e superstiti, semplici chiazze di fango. Per la Ramblas, l’ampia arteria centrale di Barcellona dove fiumane di folla andavano e venivano senza posa, gli altoparlanti tuonavano rimbombanti canzoni rivoluzionarie per tutto il giorno e gran parte della notte […] si sentiva diffusa nell’aria una gran fiducia nella rivoluzione e nel futuro, l’impressione d’essere improvvisamente emersi in un’era di uguaglianza e di libertà. Gli esseri umani cercavano di condursi come essere umani e non come denti di una ruota nella macchina capitalistica. Nelle bandiere si vedevano dei cartelli anarchici (i barbieri erano quasi tutti anarchici) i quali spiegavano solennemente che i barbieri non erano più degli schiavi. Per le vie manifesti colorati s’appellavano alle prostitute affinché cessassero di fare le prostitute. [...]
7 giu 2006
Calcio e storia
La televisione di notte riesce ogni tanto a stupire, e non solo con i festivalbar degli anni Ottanta, che mi lasciano assolutamente incantato. Ieri sera ad esempio su raidue proponevano uno spettacolo teatrale. Titolo: Italia-Brasile 3-2. Un solo personaggio in scena, metà comico e metà attore, che con un po' di musica ha raccontato la poesia del calcio.
Il calcio non è solo sport, divertimento o anestetico colletivo. A volte produce storie incredibili, come quella successa in Ucraina negli anni '40. Era il periodo dell'occupazione nazista, che aveva smantellato ogni simbolo dell'orgoglio nazionale, compreso il campionato e una delle squadre più forti d'Europa: la Dinamo Kiev. I giocatori persero il lavoro e rischiavano la deportazione. Il loro capitano e portiere Nicolai Trusevich era però riuscito a farsi assumere in un grosso panificio industriale e in poco tempo riuscì a riunirvi tutti i suoi compagni. Lì naturalmente la realtà era ben diversa dal solito: turni massacranti, fame e soprattutto interi mesi senza calciare un pallone. Nonostante questo, nel '42, decisero di rifondare la squadra, e partecipare ad un torneo locale. Erano la Start Kiev, un nome che auspicava un nuovo inizio, ma a dire il vero, nulla era cambiato da prima: vittorie, vittorie e pubblico in visibilio. La voce giunge ovviamente alle autorità tedesche, che organizzano un'amichevole contro la loro migliore selezione militare: la Flakelf, ben nutrita, allenata e imbattuta da sempre.
Lo stadio è pieno, non solo di tifosi, ma anche di SS. Militari, strani personaggi e un arbitro nazista entrano negli spogliatoi della Start. I giocatori vengono invitati a salutare convenientemente le autorità in tribuna e a comportarsi adeguatamente in campo. Che vinca il migliore! Ma Trusevich e i suoi decidono semplicemente di uscire e giocare a calcio. Al momento del saluto, invece del braccio teso all'urlo di "Heil Hitler!", si portano le braccia al petto e gridano all'unisono "FizcultHura!", slogan sovietico e urlo di battaglia dell'Armata Rossa. La partita comincia e nonostante un arbitraggio a senso unico, falli intimidatori e assassini, la Start chiude il primo tempo sul 2-1. Un ufficiale delle SS entra negli spogliatoi e invita a considerare le conseguenze di quello che stà succedendo. Ma il secondo tempo continua come il primo. I giocatori della Flakelf sono storditi dal rumoreggiare del pubblico locale e addirittura, sul 5-3, umiliati dal difensore Klimenko che dopo aver dribblato mezza difesa e il portiere, sulla linea di porta si gira e calcia verso la metà campo. L'arbitro fischia la fine con qualche minuto di anticipo. Lo squadrone ariano è stato ridicolizzato da un pugno di comunisti, gli spalti sono festanti e l'Ucraina s'è presa una piccola rivincita, che fa rinascere la speranza. In compenso le autorità sono furiose ma non possono prendere provvedimenti immediati, temendo la reazione della folla.
Le cronache del giorno dopo non riportano nemmeno una riga della partita e sotto silenzio gli 11 vengono catturati e deportati. Trusevich verrà fucilato, vestito della sua maglia numero 1 e dopo aver urlato "Lo sport rosso non morirà mai". Alcuni compagni faranno la sua stessa fine, di altri semplicemente si è persa traccia.
http://www.hyperhistory.org/index.php?option=
displaypage&Itemid=714&op=page#sub
Il calcio non è solo sport, divertimento o anestetico colletivo. A volte produce storie incredibili, come quella successa in Ucraina negli anni '40. Era il periodo dell'occupazione nazista, che aveva smantellato ogni simbolo dell'orgoglio nazionale, compreso il campionato e una delle squadre più forti d'Europa: la Dinamo Kiev. I giocatori persero il lavoro e rischiavano la deportazione. Il loro capitano e portiere Nicolai Trusevich era però riuscito a farsi assumere in un grosso panificio industriale e in poco tempo riuscì a riunirvi tutti i suoi compagni. Lì naturalmente la realtà era ben diversa dal solito: turni massacranti, fame e soprattutto interi mesi senza calciare un pallone. Nonostante questo, nel '42, decisero di rifondare la squadra, e partecipare ad un torneo locale. Erano la Start Kiev, un nome che auspicava un nuovo inizio, ma a dire il vero, nulla era cambiato da prima: vittorie, vittorie e pubblico in visibilio. La voce giunge ovviamente alle autorità tedesche, che organizzano un'amichevole contro la loro migliore selezione militare: la Flakelf, ben nutrita, allenata e imbattuta da sempre.
Lo stadio è pieno, non solo di tifosi, ma anche di SS. Militari, strani personaggi e un arbitro nazista entrano negli spogliatoi della Start. I giocatori vengono invitati a salutare convenientemente le autorità in tribuna e a comportarsi adeguatamente in campo. Che vinca il migliore! Ma Trusevich e i suoi decidono semplicemente di uscire e giocare a calcio. Al momento del saluto, invece del braccio teso all'urlo di "Heil Hitler!", si portano le braccia al petto e gridano all'unisono "FizcultHura!", slogan sovietico e urlo di battaglia dell'Armata Rossa. La partita comincia e nonostante un arbitraggio a senso unico, falli intimidatori e assassini, la Start chiude il primo tempo sul 2-1. Un ufficiale delle SS entra negli spogliatoi e invita a considerare le conseguenze di quello che stà succedendo. Ma il secondo tempo continua come il primo. I giocatori della Flakelf sono storditi dal rumoreggiare del pubblico locale e addirittura, sul 5-3, umiliati dal difensore Klimenko che dopo aver dribblato mezza difesa e il portiere, sulla linea di porta si gira e calcia verso la metà campo. L'arbitro fischia la fine con qualche minuto di anticipo. Lo squadrone ariano è stato ridicolizzato da un pugno di comunisti, gli spalti sono festanti e l'Ucraina s'è presa una piccola rivincita, che fa rinascere la speranza. In compenso le autorità sono furiose ma non possono prendere provvedimenti immediati, temendo la reazione della folla.
Le cronache del giorno dopo non riportano nemmeno una riga della partita e sotto silenzio gli 11 vengono catturati e deportati. Trusevich verrà fucilato, vestito della sua maglia numero 1 e dopo aver urlato "Lo sport rosso non morirà mai". Alcuni compagni faranno la sua stessa fine, di altri semplicemente si è persa traccia.
http://www.hyperhistory.org/index.php?option=
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